China hair

Alla fine ci sono caduta anche io. Per anni ho cavalcato orgogliosa il mio scetticismo non scevro da   un tantino di puzzetta sotto il naso.  Poi, vinta dal portafoglio piangente e dai miei capelli sempre più socialmente  improponibili  (… avete presente la barbetta delle capre? ), prendo il coraggio a due mani ed entro titubante  dal parrucchiere.  Cinese.

In effetti le attività cinesi hanno letteralmente colonizzato Torino negli ultimi anni: bar, banchi di Porta Palazzo, pizzerie, ristoranti di similsushi e altri negozi immensi che vendono di tutto, ma proprio tutto;  una volta sono entrata in uno di questi bazar sconfinati per comprare un cacciavite e ne sono uscita con: 4 lampadine, uno specchio, un paio di pantofole pelose, una paio di collant, un cappottino per il cane, un mazzo di fiori finti,  una teiera e una boccia per il pesce rosso. Non ho un pesce rosso  e nemmeno  un cane.

Il primo impatto entrando nel cinoparrucco è traumatico, e anche il secondo.

Mobili essenziali : 2 lavabi, 4 sedie del per la piega data 1980; capelli tagliati sparsi sul pavimento  un po’ ovunque mescolati con quelli che sembrano rotolini di polvere, datati 1980 anche loro;  per l’attesa un divanetto  sfondato, e stop.  Niente espositori di intrugli magici miracolosi, niente gigantografie di avvenenti modelle capellute; un cartello scritto a mano sul lavabo rassicura  “solo prodotti italiani “. E visto che anche le più comuni marche di shampoo da supermercato italiane non sono, mi chiedo che intendano. Shampoo Barilla? Balsamo Lavazza?

Nonostante la poca attrattiva, il locale è pieno. Sembra di stare all’aeroporto, partenze internazionali: 2 rumene, 3 albanesi, 1 sudafricana con figlio legato alla schiena, una signora anzianotta dalla nazionalità incerta. Cinesi non ce ne sono. Come al ristorante cinese. Mai che vedi un cinese mangiare. E un dubbio mi assale…

Devo dire che io non sono di natura schifiltosa. Sono stata spesso  all’estero, ho dormito in  posti dove avevo scarafaggi a tenermi compagnia e mangiato cibi poco identificabili ( ora che ci penso forse erano i miei zampettanti compagni notturni). Ma il preconcetto è una dura bestia. E se in Turchia mi sono ingolfata di Kebab ( e che buono che era) qui, sotto la Mole, l’idea di papparmelo non mi seduce per nulla.

L’attesa dal cinoparrucco  è poca. In 5 minuti  i miei capelli vengono strofinati  da una shampista con la foga degna di Bruce Lee mentre fa l’urlo di Chen, che prende lo shampoo da un enorme flacone del tutto anonimo. Non pongo domande, in alcuni casi è meglio non sapere…

Passo quindi al  phon, o meglio un aggeggio che all’apparenza è un phon, ma dopo l’accensione di svela essere il motore un Boeing747 al decollo. Chiudo gli occhi e, mentre spero che non mi volino via i capelli, stimolata forse dal rumore dell’aereo faccio finta di atterrare alle Maldive, in una ventosa giornata di mare e sole. Sento la spazzola poco educata della cinoparrucchiera che tira, avvolge, ritira e riavvolge.  A questo punto sono sicura che i miei capelli mi abbandoneranno  per sempre, e già mi preparo  le parole di commiato che dirò loro, quando  la phonatrice folle mi desta dai miei sogni chiedendomi “ piastla?” , come al ristorante mi chiederebbero “ caffè?” . “Si grazie” le dico “con un goccio di latte freddo a parte se possibile”.  Prende una piastra da un cassetto, finisce di lisciarmi i capelli e non sapendo poi  dove riporla visto che è rovente, senza grossi problemi  l’appoggia  a terra.

Devo dire che il risultato della piega  non era male. Tempo di attesa:  15 minuti; costo totale 8 euro per un viaggio Torino-Maldive insieme a Bruce Lee. Paura: tanta.
Ps: i capelli li ho ancora.

Meli

Bruce_Lee

La shampista mentre si appresta a massaggiare i capelli di Meli.

  1. kikkakonekka

    Qui a Padova in certe zone ci sono *solo* parrucchiere cinesi, ma anche fruttivendoli cinesi, bar cinesi, e negozi di ogni tipo cinesi. Io (maschietto) non sono mai andato da un barbiere cinese, però quando ci passo davanti questi locali sono sempre pieni zeppi e, come dici tu, mai che ci sia un cinese in attesa.

    Kikkakonekka

  2. zeusstamina

    Non entrerò mai da un barbiere cinese… ma neanche italiano, indiano, turco o svedese…
    Io sono certo che utilizzano balsamo all’involtino primavera per ravvivare la barba e maiale in agrodolce o pollo alle mandorle per i capelli. Ne sono certo ehehehe.

    Ps: o perché mi raso a zero a casa? Ok, può essere questo… ehehehe

  3. evarachele

    Fantastica…anche io sono di Torino e ormai non si può più vivere di preconcetti perché siamo stati completamente colonizzati (parla una che di preconcetti ne ha molti e fa una fatica immensa ad eliminarli)!!!
    Eva 🙂

  4. ilwalterx

    Che brava che sei Meli a raccontare.
    Ero in viaggio con te su quell’aereo mentre lo raccontavi.
    Sarà che io i capelli li sto pian piano smarrendo e per tagliarli uso la macchinetta con mia moglie che mi ritocca qua e la… la mia è solo invidia.

  5. Pingback: SBLOCCA IL BLOG! (o RIENTRA IN QUESTO BLOG, GRAZIABALLE!) | ToMeTooYou
  6. graziaballe

    e cmq è ufficiale:
    1) i capelli posso testimoniare che li hai ancora
    2) wp non mi segnala più quando i blogger che seguo postano qualcosa!!! come fisioblogghista hai suggerimenti? 🙂

  7. rckhsl

    Io sono da mesi ormai cliente felice di un parrucchiere cinese.
    Il locale è piccolo, essenziale e fuori dalla zona commerciale, ma è pulito, il servizio è velocissimo e i ragazzi cinesi e italiani che lavorano sono tutti sorridenti e cordiali (segno che *forse* le condizioni di lavoro non sono così cattive). E poi, fatto fondamentale, sono privi di quella spocchia tipica dei parrucchieri chic che ogni volta a vedermi arricciano il naso e cominciano a propormi rimedi a peso d’oro per la mia capigliatura senza speranza: e la cremina, e il riflessino, e l’olietto…
    I “cinesi” al confronto sono TROPPO più simpatici.
    E alla fine fanno la ricevuta, e con dodici euro (shampo taglio e piega) ti fanno pure la tessera fedeltà, ogni dieci tagli uno è gratis. Perché dovrei pagare trenta euro in più per lo stesso servizio a un parrucchiere sicuramente più danaroso di me, solo perché è *italiano*? Forse che non siamo tutti esseri umani???
    Il locale, come detto, è pulito. I prodotti sono italiani (e anche se non lo fossero? Siamo ANCORA sicuri di essere così tanto meglio degli altri??)
    Siamo sicuri che tutta questa diffidenza non sia in realtà razzismo nascosto?

    • zonerrogene

      Credo che bisognerebbe abbandonare la logica del razzismo. Se fosse razzismo non acquisterei nulla di non italiano, nè entrerei mai in un ristorante etnico; per me non è questione di *etnica* ma di *etica*.
      Otto/dodici euro sono veramente pochi e non ci si puo’ non chiedere come possano sopravvivere questi esercizi commerciali visti gli ingenti costi fissi, del locale, della luce, acqua , tasse, stipendi.
      Detto ciò sono perfettamente conscia di tenere un comportamento non del tutto coerente.

      • rckhsl

        Il vacillare della coerenza è qualcosa che ci rende teneramente umani. Però anche la capacità di ragionare con rigore è uno dei massimi punti di forza della nostra specie.
        Che vuol dire “abbandonare la logica del razzismo”? Vuol dire che “tanto io non sono razzista” perché con africani, ebrei, latinoamericani è tutto ok? Ma sono i cinesi che sono infidi… O magari i rom? Il razzismo è una bestia camaleontica: si nasconde benissimo per sopravvivere, e l’unico modo per scovarlo è ragionarci con rigore.
        Detto questo, confido che ASL, Agenzia delle entrate, guardia di finanza e vari altri burocrati si accaniscano sui cinesi esattamente come su tutti gli altri, giusto per toglierci i dubbi sui modi della loro sopravvivenza – che sarebbe questo il mestiere delle istituzioni.

  8. zonerrogene

    ” Abbandonare la logica del razzismo” significa smettere di vedere comportamenti razzisti anche dove, ti assicuro, non ci sono. Se ritenessi i cinesi infidi li dentro non ci sarei mai entrata, non credi?
    Il ragionamento effettuato con rigore mi suggerisce che 8 euro per quel tipo di prestazione sono pochi. Ed è giusto che la gente venga pagata per il lavoro che fa. Sempre. Tutto qui.
    Lascio fare ad altri, piu’ competenti di me, analisi sociologiche ed economiche di ampia scala.
    Un caro saluto.
    Meli

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